2013

PRÒSOPON

Dentro il ritratto

con un testo di roberto baravalle

Santa Maria del Monastero - Manta

 

ATTORNO ALLE MASCHERE DI ALESSIA

 

 

Jan Van Eyck, dipingendo nel 1434 I coniugi Arnolfini, fu, probabilmente, tra i primi grandi pittori a portare dentro un ritratto, dentro il quadro, alcuni oggetti semplici, di uso comune (uno specchio convesso, una scopetta, due paia di zoccoli, delle arance e finanche il cagnolino dei protagonisti) con un funzione connotativa del carattere degli stessi e della situazione nella quale si trovavano. Gli oggetti avevano una funzione essenziale, non accessoria, anche se Panofsky sosteneva che, nel caso dell’opera ora alla National Gallery di Londra, si trattasse, di un ritratto più descrittivo che interpretativo che, alla fine, si è “ad un tempo tentati e scoraggiati di esplorare”.

 

Stimolano invece l’interpretazione questi (io li chiamerei così) “ritratti” realizzati da Alessia Clema con il ricorso a una campionatura del bric-à-brac che accompagna e simboleggia l’esistenza moderna della quale si vuole dare conto (a posteriori o in presa diretta? Questo è già un bel punto di discussione). Il fatto è che Alessia inserisce gli “oggetti testimoniali” in una maschera di resina epossidica (si presume un calco del volto della persona da ritrarre) secondo una procedura che risale all’antichità, certamente, ma che vide anche una propria continuativa e frenetica fortuna in epoche più recenti (diciottesimo

e diciannovesimo secolo) quando non v’era personaggio notevole attorno al cui letto di morte non si affannassero pietosi seguaci, parenti ed estimatori a rilevare dai tratti dell’amato volto un calco in gesso che doveva servire per la maschera mortuaria. Questo, senza dimenticare le maschere lombrosiane realizzate a scopi dichiaratamente “scientifici” sui volti di veri o presunti delinquenti e “devianti” di vario genere. E, tanto per ribadire l’attualità del discorso, non si può trascurare che il Padiglione iniziale (o “centrale” o ex-Italia) della Biennale in corso si apre proprio (subito dopo il Libro Rosso di Jung) con un maschera (non funebre in quanto realizzata in vita, ma funerea nel rimando e nella tecnica) di Bréton, opera dello scultore René Iché, pure lui legato al Surrealismo.

 

Mortuaria, quindi? Solo in parte, per quanto concerne la parte del calco. Per quanto concerne invece gli oggetti siamo più su un terreno tra l’onirico e l’esistenziale, con non pochi scarti ironici. Risponderei in questo modo al quesito che Giovanni Tesio poneva in cima ad un suo testo che, in passato, parlava già del lavoro di Alessia Clema: maschere funebri o maschere oniriche? Il quesito non né da poco ed è legittimamente suscitato dall’aver scelto questi oggetti carichi di una simbologia imponente, plurisecolare e planetaria: Oriente e Occidente, Africa, America del Nord e del Sud, Grecità e Roma.

 

In un altro testo dedicato alle maschere di Alessia, Manuela Rinaldi ha parlato di sculture in movimento, rimandando al Jean Laude di Les Arts de l’Afrique Noire, ma io mi limiterei a parlare di Grecia, accennando alla maschera teatrale che raffigura un personaggio, il pròsopon, da cui deriva la persona - una maschera - che nel teatro latino aveva la funzione di iper sonare cioè di amplificare la voce dell’attore affinché essa raggiungesse il pubblico. Funzione ribadita dalle opere della Clema le cui personae servono a farci riflettere, a sviluppare un’intuizione, a capire vita e destino dei protagonisti che hanno accettato di farsi ritrarre portando all’artista non degli objets trouvés, oggetti d’uso comune che trovano il loro riscatto per il fatto stesso di essere inseriti in un contesto artistico, ma degli oggetti testimoniali essenziali: quelli che debbono contribuire in modo decisivo a farci intuire vita e destino, personalità e preferenze, ragioni dell’intelletto ed esigenze del cuore. Ragione e sentimento.

 

Tornando al quesito posto da Tesio, le maschere di Clema mi sembra abbiano un’evidenza,un colore, un aspetto, una fisicità, una consistenza e una trasparenza che mi sembra rimandarle per ragioni tecniche ed estetiche alla maschera mortuaria. Peraltro, è anche vero che è un mondo intriso di modernità quello che Alessia ci presenta, ma pur sempre involucrato in un manufatto vagamente spettrale che mi sembra richiamare un’iconografia nordica che va dalla Donna del Lago (più Walter Scott che Rossini, almeno in versione La Scala 2011) all’ Ophelia di Amleto, nella versione pre-raffaellita

di John Everett Millais, dalla Regina delle nevi di Andersen fino a Il senso di Smilla per la neve. Letterariamente, ancora, colgo atmosfere (non so perché e chiedo venia) persino da romanzo gotico o, almeno, da racconto di Poe. Sarà che in questi mondi prosperano le immagini di fissità, di incastonamento, di inclusione. Anche se nelle maschere di Alessia non vi sono botti di amontillado a fare da esca verso un’eternità murata.

 

E’ presente, nel mondo della Clema, in modo abbastanza evidente, un aspetto algido che deve situarsi piuttosto in cima alle sue preferenze se una foto sua in ambiente invernale campeggia in cima al proprio sito internet e anche, tra le maschere, certi suoi volti affiorano come da superfici gelate, da biancori e candide schiume, rendendo più forte il richiamo evocativo cui facevo cenno.

 

Capacità evocativa, rimandi, allusioni che rendono ancora più vivo e pregnante il percorso dalla persona alla persona, e ritorno, dall’antico al moderno, e viceversa, in un gioco colto ed emozionante che testimonia della forza e della capacità di questa artista.

 

                                                                                  Roberto Baravalle

ALESSIA CLEMA

Via Bodoni, 36 Saluzzo CN Italia

+39 338-2465341

©Alessia Clema

ALESSIA CLEMA
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